Verso il Partito Democratico

30 luglio 2007

La cultura politica democratica e il caso Unipol-BNL

Da un paio di anni, i DS e il costituendo PD sono interessati da due vicende, apparentemente scollegate tra di loro, che segneranno profondamente la natura e la qualità della democrazia italiana dei prossimi decenni, oltre che la natura del centrosinistra e del PD.
La prima e più importante, sul piano del processo storico che caratterizza l’area progressista italiana, è la costruzione del nuovo Partito. La parte forse più ambiziosa e nobile di questo processo è, con le parole del Ministro Bersani, la “costruzione della cultura politica democratica”. È una sfida importante e difficilissima. Importante perché equivale a dare un’anima riconoscibile e condivisa al nuovo Partito. Difficilissima perché si fonda – come ha avuto modo di apprezzare chiunque abbia partecipato anche marginalmente alla stagione congressuale della primavera appena trascorsa – sulla graduale fusione di culture politiche che – sebbene abbiano condiviso un tratto importante della storia repubblicana – sono venate da radicate diffidenze reciproche.
La seconda vicenda, che apparentemente interessa solo la cronaca politica e giudiziaria, è il caso Unipol-BNL. La copertura mediatica del caso è (direi giustamente) così ampia e dettagliata che mi consente di concentrarmi direttamente sul punto che mi sembra cruciale ai fini della genesi della cultura politica del nascente Partito e, cosa fondamentale, della capacità di questo di essere un’espressione reale e viva di quei cittadini italiani che si riconoscono nelle idee progressiste e intendono essere parte del progetto di costruzione del progressismo del XXI secolo. Gli esponenti dei DS che sono coinvolti nella vicenda hanno più volte sottolineato la legalità del loro operato e, molto coerentemente, hanno auspicato che su questo punto si esprima in tempi brevi la magistratura. Rispetto alla condotta del centrodestra nella scorsa legislatura, questo comportamento marca una profonda differenza di sostanza oltre che di stile, ribadendo il principio di qualsiasi stato di diritto che spetta alla magistratura indipendente verificare questo genere di questioni (con la pienezza delle tutele costituzionali del caso).
D’altra parte, i dirigenti dei DS in questione hanno sentito il bisogno, in diverse sedi, di sottolineare l’opportunità politica del loro interessamento al successo dell’operazione Unipol-BNL. Questa valutazione di opportunità politica del tifo a favore dell’operazione, condivisa da molti esponenti di centrosinistra e avversata da molti altri, è un test cruciale per la costruzione della cultura politica del PD, un test che potrà determinare la natura profonda di questo nuovo soggetto. La visione di coloro che ritengono opportuno l’interessamento e il tifo per l’operazione è che la politica non può essere separata dall’economia, fermi restando i limiti legali invalicabili che intendono impedire la corruzione politica, ecc. Si tratta di una ottica realpolitica che considera impossibile una società caratterizzata dalla parità delle opportunità, dalla democraticità del potere e dalla libera competizione. In questa visione, anticipando tale impossibilità, è necessario concepire un’azione politica pragmatica che ricerca nella società e nell’economia i propri soggetti di riferimento. A quale fine? In una visione nobile, perché questi soggetti di riferimento saranno in grado di esprimere iniziative capaci di realizzare una sorta di prolungamento della politica con altri mezzi (quelli dell’impresa, per esempio). Oppure, in una visione meno nobile, perché questi soggetti di riferimento consentiranno il controllo di risorse economiche, opportunità di impiego, ecc. In ogni caso, il fine è quello dell’accrescimento del potere della politica.
Anche condividendo la valutazione che la parità delle opportunità nella società, la democrazia nella gestione della Repubblica e la libera competizione nell’economia sono ideali a cui tendere che difficilmente riusciamo realizzare, occorre chiedersi se sia moralmente giusto impostare l’azione politica del PD su questa base realpolitica. In questa domanda, sta a mio avviso il richiamo alla questione morale: il fine dell’azione politica del PD può essere perseguito anche con mezzi che contrastano idealmente con quel fine?
La mia risposta è che ovviamente ciò non è possibile e per spiegarmi faccio un esempio. Una delle politiche nelle quali si esprime già oggi la cultura politica del PD in fase di formazione sono le liberalizzazioni. Si tratta di una politica dalle molteplici valenze riconducibili ai principi della Rivoluzione liberale di Piero Gobetti: sociale, apertura di una società classista alla competizione dei talenti quale garanzia di parità di opportunità; economica, ampliamento degli ambiti di competizione per ridurre i costi e migliorare la qualità dei prodotti; politica, contenimento del potere politico nel suo ambito costituzionale. La visione che sottende la politica delle liberalizzazioni è che la Repubblica è il garante, attraverso le sue varie articolazioni, della parità di opportunità e, in campo economico, della competizione tra i soggetti economici. Se ammettessimo la visione di realpolitik per cui la politica deve trovare nell’economia dei soggetti di riferimento, come potremmo sviluppare con autorevolezza e credibilità una politica come quella delle liberalizzazioni?
Questo e altri esempi (si pensi al ruolo dei soggetti di riferimento nel governo delle comunità locali) portano alla conclusione che la natura politica del PD si caratterizza strutturalmente per come agisce politicamente oltre che cosa dice di voler fare: i mezzi qualificano la natura dei fini! Quando si dice che vogliamo un Partito davvero democratico intendiamo sottolineare che il mezzo (la gestione democratica del potere) qualifica e garantisce il raggiungimento del fine (una società più libera e equa). Nella storia dell’umanità e del nostro Paese abbiamo spesso assistito all’enunciazione di fini che venivano sviliti o contraddetti dai mezzi. Per queste ragioni, il PD può essere un partito rivoluzionario nel panorama politico italiano e per queste ragioni la cancellazione della questione morale nella pratica politica oltre che nei principi fondativi del PD sarebbe un errore irreparabile capace di condannare il nuovo soggetto ad un declino politico e culturale analogo a quello che caratterizzo l’esperienza della sinistra italiana tra gli anni ’80 e ‘90.

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02 luglio 2007

I DS a sostegno delle piccole imprese

L’iniziativa intrapresa dalle categorie economiche contro la revisione degli studi di settore approvata dal governo deve essere valutata in modo serio, approfondendo e ascoltando le istanze dei piccoli commercianti ed artigiani al fine di dare risposte concrete finalizzate alla promozione del tessuto economico-produttivo della nostra Provincia.
Riteniamo gravi gli inviti rivolti alla “rivolta fiscale” mentre apprezziamo le dichiarazioni le parole del dott. Zilio, presidente dell’Ascom di Padova, il quale oltre ad aver riconosciuto la necessità di contrastare l’evasione fiscale ha anche ribadito che le tasse vanno pagate e che bisogna rispettare le leggi in vigore nel paese, condivise o meno.
Se da un lato è vero che la pressione fiscale in Italia è più alta rispetto agli altri paesi europei, questo è dovuto al fatto che solo in Italia vi è un’evasione fiscale diffusa che sottrae 270 miliardi di euro l’anno al fisco, pari alla somma di 8 manovre finanziarie da 35 miliardi, equivalenti alla finanziaria approvata a dicembre dal Governo Prodi. E’ quindi fondamentale stipulare un patto tra le pubbliche istituzioni e i rappresenti delle categorie economiche, attraverso il metodo della concertazione, per il rendere efficaci le misure volte a contrastare l’evasione fiscale, recuperando così risorse che possono essere reinvestite. Sarebbe invece un grave errore criminalizzare l’intera categoria del lavoro autonomo. E’ interesse soprattutto delle imprese contrastare l’evasione fiscale, poiché sono le aziende stesse che pagano le tasse quelle più colpite da coloro che evadono, infatti subiscono una concorrenza sleale e vengono penalizzate su mercati sempre più aperti ed insidiosi.
Le categorie economiche inoltre sono sensibili a temi come la sicurezza, il rilancio delle infrastrutture, la semplificazione della pubblica amministrazione Questi sono anche alcuni degli elementi fondativi del Partito Democratico. Per questo servono risorse aggiuntive per questi settori, che potranno arrivare anche dal contrasto all’evasione fiscale. Da un lato bisogna investire in un’azione efficace e positiva sui temi della sicurezza e della legalità, dall’altro vanno investite risorse per dotare il nostro territorio di importanti infrastrutture viabilistiche per il trasporto pubblico e privato che riducano i tempi di mobilità (nuova regionale 10 e viabilità attorno a Padova), semplificando la vita ai cittadini rendendo più competitivo il tessuto economico-produttivo oggi limitato da tempi di trasporto eccessivi. Infine, serve una riforma della pubblica amministrazione che incentivi il merito e la produttività e semplifichi i procedimenti burocratici.
La revisione degli studi di settori si era resa necessaria per superare alcune ingiustizie emerse nei mesi scorsi, certo riteniamo urgente superare alcuni problemi applicativi, come per esempio la retroattività degli stessi. E’ necessario inoltre aprire un tavolo di concertazione tra governo e categorie economiche per valutare alcuni correttivi da apportare, a cominciare dal documento di programmazione economica e finanziaria, in fase di elaborazione proprio in queste settimane.

Fabio Rocco, Segretario provinciale DS

Boris Sartori, Segreteria provinciale DS

Il Partito Democratico e il lavoro

Il Partito Democratico dovrà essere necessariamente “fondato sul lavoro”, come scritto nell’art. della Costituzione. Il punto è che riuscirà ad esserlo solo se saprà rappresentare tutti i lavori.
La politica degli anni del governo di destra, che puntava a far crescere l’occupazione attraverso una vasta gamma di contratti temporanei e flessibili, ha fallito: la precarietà si è di fatto aggiunta al lavoro nero. Questo processo ha creato una dualità nel mercato del lavoro: da una parte ci sono lavoratori assunti con contratti standard completamente tutelati, e dall’altra c’è un mercato caratterizzato da alta mobilità, contratti atipici e assenza o scarsità di tutele.
Nella scorsa finanziaria si sono già presi provvedimenti importanti: la riduzione delle tasse premia solo le imprese che trasformano i contratti precari in contratti subordinati a tempo indeterminato, è previsto un aumento dell'aliquota contributiva per i lavoratori para-subordinati, sono state stabilite tutele adeguate in caso di malattia e di maternità prima inesistenti. La circolare del Ministro Damiano ha portato le aziende ad assumere a tempo indeterminato tutti quei lavoratori che, pur assunti con un contratto a progetto, svolgono a tutti gli effetti un lavoro subordinato. Nella stessa direzione sono andati i provvedimenti che prevedono l’assunzione dei precari della scuola e dei ricercatori universitari.
Tutto questo però non è ancora sufficiente: il nostro obiettivo dovrà essere quello di ridare dignità e valore al lavoro, a tutti i lavori, evitando di limitarci ad affermazioni ideologiche che hanno rischiato per troppo tempo di mettere i figli contro i padri, le mogli contro i mariti. La società è flessibile, frammentata, non si può più riassumere il mondo del lavoro in uno slogan: ci sono lavoratori autonomi che vivono una situazione d’insicurezza che per molti dipendenti è impensabile; ci sono molti lavoratori del pubblico impiego che soffrono la frustrazione di non essere mai valutati per quello che meritano, quando non sottoposti a logiche clientelari; ci sono i disoccupati di 50 anni che, espulsi dal mercato del lavoro si trovano a fare lo stesso lavoro di prima con contratti precari e paga dimezzata; ci sono donne che per necessità e non per scelta, devono abbandonare la propria attività per poter avere una famiglia; ci sono gli immigrati che sono spesso esposti al lavoro nero e all’insicurezza fisica nei luoghi di lavoro. Perché dobbiamo dirlo: molti morti sul lavoro sono proprio di origine straniera, spesso impreparati e scarsamente attrezzati sul lavoro. Le morti sul lavoro sono una piaga, che, in particolare in alcuni settori, come quello dell’edilizia, assomiglia molto a un bollettino di guerra. Un paese civile non può accettarlo. Servono controlli e una cultura diffusa della sicurezza sul lavoro, le leggi da sole non bastano.
C’è la necessità di creare una rete di garanzie universale. Chi parla semplicemente di eliminare il precariato sa di esprimere un desiderio che rischia di rimanere tale, che rischia di essere una promessa che nessuno può soddisfare. Vanno riformati gli ammortizzatori sociali, è necessario l'incremento e l'estensione dell'indennità di disoccupazione a tutti i lavoratori, così come l'introduzione del reddito minimo di inserimento, rafforzando la protezione economica sia per il lavoro subordinato, sia per le prestazioni di lavoro dotate di relativa autonomia, sia per il lavoro autonomo. È fondamentale arrivare a livelli di retribuzione almeno parificati per le varie tipologie contrattuali, se non addirittura immaginare che il lavoro flessibile, che non comporta oneri di lungo periodo per le imprese, sia pagato di più di quello a tempo indeterminato.
Dobbiamo mettere in campo con più determinazione la volontà di liberare le energie delle nuove generazioni, eliminando gli ostacoli per l’ingresso nel mondo del lavoro e garantendo a tutti, a prescindere dalle condizioni di partenza, pari opportunità di affermarsi nella vita e maggiori garanzie.

Fabio Rocco
Segretario provinciale DS

Partito Democratico

La costruzione del Partito Democratico non dipende, esclusivamente, dalle decisioni del nostro partito, i Democratici di Sinistra, ma dal tentativo delle migliori culture politiche del nostro Paese di unirsi in una nuova sintesi, in una casa nuova, dove la sinistra democratica, il cattolicesimo democratico, la cultura liberale, quella repubblicana e la sensibilità ambientalista possano sentirsi pienamente rappresentati. Ma credo che la sfida più alta che dobbiamo porci è riuscire a parlare a quanti, soprattutto tra le nuove generazioni, non si riconoscono negli attuali partiti, ma hanno voglia di occuparsi del proprio paese e del proprio futuro, partecipando – fin dalla fondazione – ad una forza politica capace di affrontare nel migliore dei modi le sfide del terzo millennio, senza continuare a camminare con la testa rivolta all’indietro. Non è un obiettivo facile, ne sono consapevole, e non basterà aprire i nostri congressi ai cittadini non iscritti al partito che guarda a noi con speranza e attenzione. Molto dipenderà dalla qualità del dibattito che sapremo condurre nei prossimi mesi, sia dentro le sezioni che sul territorio. Le formule “politiciste” non parlano a nessuno, affrontare i problemi che costellano quotidianamente la vita dei cittadini è l’unico modo per coinvolgere il cosiddetto popolo delle primarie e tutti coloro che hanno voglia di occuparsi della cosa pubblica, di migliorare la nostra società. A questo punto, almeno a mio avviso, più che disputare sul se e sul come fare il Partito Democratico, chi – come me - ne è già convinto dovrebbe cominciare a spiegare cosa dovrà fare il Partito Democratico, quale sarà il suo ruolo e quali idee sarà capace di mettere in campo.
Partiamo dalle cose concrete. La nostra è una società “anchilosata”, con pochissima mobilità sociale (i figli degli operai sono destinati a fare gli operai precari, le professioni sono aperte quasi esclusivamente per i figli dei professionisti), con lo strapotere delle lobby e dei potentati economici. Il PD dovrà mettere in discussione tutto questo, partendo dalle liberalizzazioni messe in campo dal Ministro Bersani. “Stare dalla parte di chi bussa alla porta e non con chi la tiene chiusa”, ha dichiarato Bersani qualche mese fa, non troverei modo migliore per spiegare la nostra volontà di liberare le energie delle nuove generazioni, eliminando gli ostacoli per l’ingresso nel mondo del lavoro e garantendo a tutti, a prescindere dalle condizioni di partenza, pari opportunità di affermarsi nella vita. Quindi: riforma delle professioni, facilità di intraprendere un mestiere, più diritti e meno precarietà nel mondo del lavoro.
Altro punto concreto da cui partire: i diritti civili. L’Italia è un Paese dove la società è, spesso, più avanti della politica, centinaia di migliaia di coppie scelgono di convivere, per costruire insieme un progetto di vita comune. In una società dove trionfano solitudine ed egoismo, chi decide di vivere insieme rappresenta una risorsa preziosa, deve essere tutelato, aiutato, gli vanno riconosciuti i diritti di cui godono quasi tutti gli altri cittadini europei. Anche a questo dovrà servire il Partito Democratico: garantire alle nuove forme di convivenza più diritti, chiedendo – contemporaneamente - più responsabilità. Allo stesso tempo dobbiamo lavorare per tutelare le giovani coppie che hanno deciso di mettere su famiglia, dando loro la possibilità di accendere un mutuo per acquistare casa, introducendo nei contratti flessibili i diritti legati alla malattia e alla maternità, aumentando assegni familiari e numero degli asili nido. E’ inutile parlare di famiglie senza mettere in campo una politica di tutele, aiuti e diritti che sostenga chi ha ancora voglia di scommettere sul futuro.
Infine, la politica estera. La guerra unilaterale teorizzata e, purtroppo, praticata dai neoconservatori americani, e avallata da una parte della destra italiana ed europea (Berlusconi e Aznar) ha clamorosamente fallito, rendendo il mondo più insicuro e alimentando, seppur involontariamente, il terrorismo. Occorre mettere in campo una politica di pace, ridare forza alla diplomazia e agli organismi internazionali, risolvere – una volta per tutte – il conflitto mediorientale, garantendo sicurezza ad Israele e uno stato democratico e indipendente ai palestinesi.
Sono solo alcuni spunti, capaci però di rendere visibili e comprensibili a tutti le ragioni che stanno alla base della nostra idea di Partito Democratico. Se sapremo parlare di questo, senza limitarci ad un dibattito tra addetti ai lavori, credo che una platea ampia di cittadini potrà prendere parte alla nostra discussione, ciascuno portando il proprio contributo critico e ideale. Renderemmo così un bel servizio alla politica e alla sinistra italiana, riavvicinando cittadini e istituzioni, giovani e politica, dopo anni di “grande freddo”.



Fabio Rocco Segretario provinciale DS